E’ certamente un bisogno innato quello nostro, quello di far risalire le origini della nostra città o delle nostre famiglie a tempi antichissimi, per consegnare forse quel carattere nobiliare ai nostri paesi o alle nostre ascendenze; e questa necessità nel cinquecento si è tramutata purtroppo anche in vere e proprie opere di falsificazione dei testi o di interpretazione forzata degli storici antichi allo scopo di sostenere le proprie tesi “su commissione”, contro quelle di altri realmente fondate: si pensi alla cronaca di Orofone.
E’ stato complicato riuscire a distinguere la leggenda dalla storia, soprattutto alle notizie inerenti i nostri luoghi e la relativa fondazione, e lunghi ed affannosi sono stati i dibattiti relativi alla storia di Acireale e sempre meno ci sono stati elementi di congiunzione tra i critici, gli storici e gli appassionati, dal Vigo al Raciti, dal Raccuglia al Pulvirenti.
Xiphonia è oggetto di studio e dibattito da secoli, apparendo e scomparendo alternativamente dai libri di storia locale in relazione alla penna di chi ne abbia scritto a favore o contro, e non si è saputo collocarla univocamente più vicina alla storica Akis o alla leggendaria Camesena.
Storia o leggenda che sia, Xiphonia ci appassiona e ci trascina verso quel desiderio comune di vedere la nostra terra abitata da nobili, aristocratici, filosofi, già millenni orsono, e scenario di quelle imprese e quelle battaglie che la storia antica di vuole tramandare.
Il siceliota Diodoro Siculo vuole che Xiphonia sia stata fondata dai Greci nel VII secolo a.C. presso il un promontorio ed il fiume Aci.
Ciò che è sicuro, confermato dalla storiografia e dai reperti archeologici, è che la costa orientale della Sicilia è stata colonizzata nel primo millennio a.C. dai liguri prima coi fenici, e dai greci dopo, il che ci fa considerare inevitabilmente l’ipotesi fondata che l’attuale territorio costiero compreso fra Aci Castello ed Acireale, molto più pianeggiante e rientrato rispetto ad ora, sia stato un focolaio mercantile e portuale di una certa rilevanza, cresciuto e sviluppato tra il fiume Achis, “che i suoi flutti al mare volge per le spiagge Etnee” con acque “fredde e saettanti”, ed il promontorio del Castello, a quel tempo non più di un isolotto paragonabile ai faraglioni dei Ciclopi.
I reperti rinvenuti a Capo Mulini, a Nizzeti (tra Ficarazzi e S. Nicolò), a Reitana ed a Santa Venera al Pozzo ci confermano l’esistenza di una colonizzazione greca da ricondurre a quel periodo storico compreso tra il 700 a.C. (Colonizzazione greca in Sicilia) ed il 264 a.C. (Prima guerra punica), la quale colonia il Raccuglia sulla base di Strabone e Scillace vuol identificare con Xiphonia.
Quindi non possiamo escludere la possibilità di avere avuto una Xiphonia in questi luoghi e a quell’epoca.
Che poi la denominazione sia diversa, o perché si vuole forzatamente riconoscere la vera Xiphonia, o meglio il porto xiphonico, con ‘Iksîfû, oggi attuale Capo Santa Croce secondo Idrisi o secondo lo pseudo Scillace, sui quali storici si basò per le sue tesi pure il tedesco Clouverio, o anche con Agosta (oggi attuale Augusta) secondo il Di Blasi Gambacorta, non è cogente all’opera qui presentata col nome di “Xiphonia”; anche se, come dice il Raccuglia, sarebbe paradossale riconoscere veridicità allo pseudo Scillace (chiamato così perché le sue opere vogliono forzatamente essere attribuite a Scillace, quando sono spurie de facto) o ad Idrisi (vissuto oltre un millennio dopo ai fatti), più che a Scillace e a Strabone (autori coevi alla colonizzazione greca in Sicilia).
Nulla ci vieta quindi di immaginare la nostra terra come la leggendaria Xiphonia, così come alcuni storici ci hanno voluto mostrare nel tempo; e come “coloro che sono stati trascinati dall’amore per il proprio paese” mostro una mitica riviera dei Ciclopi greco-romana, facendola apparire se non vera almeno verosimile sostituendo così in grande libertà, senza toglier nulla alla storia, cinquantadue anni di buio (dalla prima alla seconda guerra punica) con quest’opera fantasiosa; buio che il Raccuglia voleva invece riempire “con una grande eruzione dell’Etna” intorno al 230 a.C., la quale avrebbe cancellato Xiphonia e lasciato terreno spianato all’Akis romana, ma della quale eruzione comunque non abbiamo riscontri geologici.
Chi ci dice quindi che non ci sia stata davvero una città greca, od un porto così importante, da figurare tra le più importanti colonie dal VII al II secolo a.C., e poi convertita a città romana?
La teoria che fa spostare il centro di questa colonia, poi città, da Capo Mulini ad Aci Castello a Santa Maria delle Grazie, ed in fine, ad Acireale nel corso dei secoli è altro argomento, non inerente alla nostra trattazione.
Fondamentalmente il mio intento è quello di far conoscere una faccia nuova della nostra terra, quella più antica, la terra che adesso prende il nome di Aci e frazionata nei nove centri più o meno estesi: Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Platani, Acireale, Aci S. Filippo, Aci S. Antonio, Aci S. Lucia ed Aci Trezza, anche se la nostra Xiphonia è localizzata tra Capo Mulini, Aci Trezza, Reitana, Santa Venera al Pozzo e San Nicolò.
Mi piace immaginare che sia dunque questa la città progenitrice della più conosciuta Akis: Xiphonia, la quale divenne romana, e questo è ciò che avvenne in quegli oscuri decenni tra la prima e la seconda guerra punica, il mistero che avvolge la città di Xiphonia e la sua scomparsa, e la conseguente nascita di Akis: ciò ch’è narrato in questo racconto.
La vicenda è ambientata a ridosso della seconda guerra punica, prima che “ufficialmente” questo territorio venisse riconosciuto da Teocrito, da Eschilo, da Ovidio, e da Silio Italico come Akis.
La vicenda è suddivisa in capitoli, i quali sono raccolti in libri per dare meglio al lettore la possibilità di indicizzare gli episodi che si verificano in linee temporali diverse.
Tengo però a precisare taluni punti che preparino il lettore alla fruizione del racconto, e dei quali ne risento particolarmente.
Non sono né uno storico, né un letterato: io mi considero soltanto la più umile delle voci di quel latente spirito di amore e rispetto del quale la nostra terra ha beneficiato da noi per decenni, secoli, e millenni, da Omero al Verga, e mai per nessuna ragione posso lontanamente pormi alla loro altezza.
Non sono né un filosofo, né un sociologo: descrivo uomini e comportamenti così come la recta ratio da mil-lenni guida i popoli, e come il ius gentium ne disciplina i rapporti.
Non sono né un filologo, né un linguista: riporto termini e le denominazioni così come la mia passione mi ha portato a conoscere da me, interpellando testi e persone sicuramente più sapienti di me, e sulle spalle dei quali mi sono poggiato per immaginare la mia Xiphonia.
Infine ci tengo a dire che questo libro è dedicato ai miei genitori, i quali mi hanno dato tutto quello che ho, ed è solo grazie a loro se posso esprimermi adesso nei confronti di tutti.